Oggi vi proponiamo una classica torta di mele, soffice e saporita. Questa è solo una delle innumerevoli versioni di torta di mele, che non ha regole fisse, ma solo il gusto di chi le prepara ne dà l’aspetto e la forma. In questa versione, che non fa uso di burro e con poco zucchero, e basandosi su acqua e olio, rappresenta una versione più leggera, per chi ama mangiare fette più grandi senza preoccuparsi troppo. Il sapore rimane inalterato, anzi le mele, le vere protagoniste di questa ricetta, vengono esaltate nel loro sapore.
Torta di mele
Durata 1 h 20 min
Difficoltà Intermedia
Origine Interregionale
Ingredienti
Per una torta di 24 cm di diametro
250 g di Farina 00
160 g di Zucchero di canna
130 ml di acqua
100 ml di Olio di semi di girasole
3 uova
4 mele
1 bustina di lievito per dolci
2 cucchiai di uvetta (opzionale)
1 cucchiaio di cannella in polvere (opzionale)
1 limone
Sale
Preparazione
Prendete le mele e dopo averle ben lavate, sbucciatele e mondatele, eliminando il la buccia ed il torsolo. Una parte delle mele le taglierete a spicchi sottili ed un’altra a tocchetti di piccole dimensioni. Poi prendete il limone, tagliatelo a metà e spremete il succo sulle due parti di mele, in modo che non si anneriscano durante l’attesa, mescolando per bene la mela a pezzi. In una planetaria (o in una grossa ciotola se volete impastare il tutto a mano) rompete 3 uova intere di medie dimensione e aggiungete lo zucchero di canna (se non lo volete usare potete utilizzare lo stesso quantitativo di zucchero semolato). Aggiungete un po’ di cannella in polvere ed un pizzico di sale.
Sbattete le uova con lo zucchero fino ad ottenere un bel composto spumoso ed uniforme. A questo punto versateci dentro la porzione di acqua e di olio di girasole, poi la farina ed una busta di lievito continuando a mescolare in modo che tutta la farina venga ben incorporata senza grumi. Quando avrete ottenuto un impasto cremoso aggiungete la mela tagliata a tocchetti e l’uvetta precedentemente ammollata, se non volete usare l’uvetta potete sostituirla anche con dei chicchi di cioccolato, oppure aggiungere solo mele. In entrambe i casi ricordatevi di infarinare per bene sia l’uvetta che i chicchi di cioccolato, in modo che non affondino nell’impasto durante la cottura, e ritrovarli poi a torta pronta tutti sul fondo.
Mescolate per bene con un cucchiaio facendo aderire per bene l’impasto alle mele e all’uvetta. Procuratevi una teglia tonda, versateci dell’olio di girasole cospargendolo su tutta la superficie interna e poi aggiungete mezzo cucchiaio di farina, sbattendo qua e la in modo da infarinarne tutto l’interno. A questo punto potete versare l’impasto nella teglia distribuendolo in maniera uniforme. Una volta versato il tutto, prendete gli spicchi di mele tagliate a fettine sottili e cominciate a disporle su tutta la superficie a rotazione, in modo da formare un disegno simmetrico.
A questo punto infornate la torta di mele in un forno preriscaldato a 180°C e lasciate cuocere per 40-50 minuti, controllando la cottura alla fine con uno stuzzicadenti. Infilate lo stuzzicadenti nella torta e ritiratelo fuori, se questo uscirà ben asciutto, allora la torta sarà cotta perfettamente. Togliete la torta di mele dal forno e lasciatela raffreddare lentamente nella teglia a temperatura ambiente. Solo quando sarà ben raffreddata, toglietela dalla teglia e servite.
Nella cucina giapponese, il riso è sempre stato considerato un alimento di enorme valore, e la sua preparazione richiede un’attenzione particolare, soprattutto quando viene utilizzato per il sushi. Oltre alla cottura, esiste una serie di strumenti specifici che aiutano a trattare il riso nel modo corretto.
Hangiri, shamoju e makisu
Uno degli strumenti principali è l’hangiri, un recipiente rotondo e basso, usato per contenere il riso appena cotto. Gli hangiri tradizionali sono fatti di legno di cipresso e rinforzati da fasce di rame. La dimensione standard di un hangiri è di circa 30 cm di diametro, ma nelle cucine professionali possono raggiungere anche un metro. Questi contenitori, considerati di alta qualità, possono essere molto costosi, arrivando a costare due o tre volte più di una pentola in acciaio di alta gamma.
Per mescolare e condire il riso con aceto di riso, zucchero e sale (il sushizu), si utilizza una spatola di legno chiamata shamoji. Durante questa fase, il riso viene raffreddato gradualmente con l’aiuto di un ventaglio tradizionale, l’uchiwa, che aiuta a ridurre la temperatura senza alterare la consistenza del riso.
Un altro strumento importante è il makisu, un tappetino in bambù utilizzato per arrotolare il sushi, come i maki, o per modellare altre preparazioni.
La chiave per un corretto trattamento del riso è sgranarlo delicatamente senza schiacciare i chicchi, permettendo loro di incorporare una giusta quantità di aria. Il riso ben cotto mantiene i chicchi uniti grazie al rilascio di amido. Dopo il mescolamento, il riso viene coperto con un panno di cotone bianco, chiamato sarashi, per farlo raffreddare gradualmente.
L’Invenzione della Cuociriso: Dalla Rivoluzione Tecnologica al Successo Casalingo
Cuociriso
La cottura del riso è uno degli elementi centrali della tradizione culinaria giapponese, tanto da diventare un rituale che si ripete quotidianamente nelle case. Non sorprende, quindi, che la tecnologia giapponese abbia risposto a questa esigenza sviluppando uno strumento automatico capace di semplificare questo compito essenziale. Tuttavia, è curioso scoprire che, contrariamente alle aspettative, le prime versioni della cuociriso elettrica non conquistarono subito il mercato.
La prima cuociriso elettrica fu prodotta da Mitsubishi Electric nel 1923, un’innovazione pionieristica per l’epoca. Tuttavia, il Giappone del tempo non disponeva ancora di un’ampia diffusione dell’elettricità nelle abitazioni, e questo impedì alla cuociriso di trovare il suo posto nelle cucine domestiche. Inizialmente, l’elettrodomestico trovò impiego principalmente a bordo di navi, dove il bisogno di preparare grandi quantità di riso in modo efficiente era essenziale durante i lunghi viaggi.
Circa vent’anni dopo, Mitsubishi tentò nuovamente di promuovere la cuociriso per l’uso domestico, ma il fallimento fu imputabile alla sua tecnologia ancora incompleta. La cuociriso dell’epoca non era del tutto automatica, e richiedeva un’attenzione costante, paragonabile a quella necessaria per la cottura in pentola. Per i consumatori, l’alto costo del dispositivo non era giustificato, dato che non eliminava l’esigenza di monitorare il processo di cottura.
La vera rivoluzione arrivò a metà degli anni ’50, quando Toshiba riuscì a perfezionare l’elettrodomestico, creando la prima cuociriso completamente automatica. Questa nuova versione era in grado di gestire l’intero processo di cottura, dal riscaldamento dell’acqua alla preparazione finale del riso, senza richiedere alcun intervento umano. Fu una svolta epocale: tra il 1955 e il 1956, la cuociriso divenne rapidamente un successo commerciale. In soli quattro anni, quasi metà delle famiglie giapponesi possedeva una cuociriso. Il prezzo? Circa 3200 yen, equivalente a un terzo del salario mensile medio di un giovane lavoratore dell’epoca.
Questa innovazione non solo semplificò la vita domestica, ma divenne anche un simbolo del progresso tecnologico giapponese, trasformando un compito tradizionale in un processo moderno ed efficiente. La cuociriso si affermò come un elettrodomestico indispensabile, rivoluzionando la cucina giapponese e rendendo più accessibile la preparazione di uno degli alimenti centrali della loro dieta.
La Cottura Tradizionale del Riso in Pentola
Non possedere una cuociriso non è un ostacolo per preparare un autentico riso giapponese a casa. In effetti, prima che la tecnologia portasse nelle cucine la comodità delle cuociriso, la cottura in pentola era il metodo tradizionale, utilizzato per generazioni. Con pochi passaggi semplici e un po’ di attenzione, si può ottenere un riso perfetto anche senza apparecchi moderni.
Il primo passaggio fondamentale consiste nel risciacquare accuratamente il riso. Versalo in un colino a maglie fini e lavalo sotto acqua corrente fredda, finché l’acqua non passerà da lattiginosa a completamente trasparente. Questo processo serve a eliminare l’eccesso di amido, che altrimenti renderebbe il riso troppo colloso. Una volta sciacquato, lascia scolare bene il riso e fallo riposare per 30 minuti. Questo passaggio permette ai chicchi di riso di assorbire l’umidità residua in modo uniforme.
Per la cottura, metti il riso scolato in una pentola e aggiungi una quantità d’acqua pari al 20% in più del peso del riso. Ad esempio, per 100 grammi di riso utilizzerai 120 grammi di acqua. Questa proporzione è essenziale per garantire che il riso assorba tutta l’acqua senza risultare né troppo asciutto né troppo umido. Copri la pentola con un coperchio ben aderente, che non dovrà essere rimosso durante tutto il processo di cottura.
Porta il riso a ebollizione a fuoco vivo e, una volta raggiunto il bollore, riduci immediatamente la fiamma al minimo. Da questo momento, lascia cuocere per circa 11 minuti. La chiave per una cottura ottimale è mantenere il calore basso e costante, permettendo ai chicchi di assorbire gradualmente l’acqua. Una volta trascorsi i 11 minuti, togli la pentola dal fuoco e lascia riposare il riso per altri 13 minuti, sempre senza sollevare il coperchio. Questo riposo è fondamentale perché consente al riso di completare la cottura grazie al calore residuo, garantendo una consistenza soffice e uniforme.
Infine, solleva il coperchio e usa una spatola di legno per sgranare delicatamente il riso, separando i chicchi senza schiacciarli. Il risultato sarà un riso leggero e soffice, perfetto per accompagnare piatti giapponesi. Questo metodo, noto come cottura “per assorbimento”, è semplice ma richiede precisione: ogni dettaglio, dalla quantità di acqua alla durata del riposo, contribuisce a ottenere il riso ideale. Anche senza una cuociriso, questo metodo tradizionale ti permetterà di avvicinarti all’autenticità della cucina giapponese.
Stampo per il sushi in casa
Realizzare il Sushi a Casa: Tradizione e Creatività
In Giappone, il sushi non è solo un cibo, ma una vera e propria forma d’arte culinaria, che richiede anni di apprendistato per essere padroneggiata. I maestri sushi dedicano la loro vita a perfezionare tecniche millenarie, e per questo motivo il sushi è spesso riservato a occasioni speciali o celebrative. Tuttavia, esistono delle varianti casalinghe che permettono anche ai non esperti di preparare questa delizia a casa, mantenendo un legame con la tradizione.
Una delle varianti più tipiche preparate in casa è l’oshizushi, un tipo di sushi pressato originario della regione del Kansai. La preparazione dell’oshizushi utilizza uno strumento specifico, chiamato oshizushihako, che permette di dare al riso e agli ingredienti una forma compatta e ordinata. Lo stampo, composto da una base, pareti laterali e una parte superiore, è fondamentale per creare strati precisi e ben compressi.
Per preparare l’oshizushi, si inizia disponendo uno strato di sumeshi (riso cotto e condito con aceto di riso, zucchero e sale), seguito da foglie di shiso, una pianta aromatica che dona un sapore fresco, simile alla menta. A questi strati di base, si possono aggiungere diversi ingredienti, come sgombro marinato, gamberi o kinshitamago—sottili frittatine d’uovo tagliate finemente, che conferiscono una consistenza e un sapore delicati.
Il processo di preparazione dell’oshizushi richiede una certa cura. Prima di iniziare, lo stampo viene immerso in acqua per evitare che il riso si attacchi durante la pressatura. Per facilitare la pulizia e garantire che il sushi mantenga la forma perfetta, è comune coprire la base e la parte superiore dello stampo con un sottile strato di pellicola trasparente. Durante l’assemblaggio, la base e le pareti dello stampo vengono leggermente unte, per facilitare l’estrazione del sushi una volta pressato.
Una volta che gli ingredienti sono stati stratificati, la parte superiore dello stampo viene utilizzata per esercitare una leggera pressione, compattando gli strati senza schiacciare il riso. Dopo aver rimosso lo stampo, l’oshizushi è pronto per essere tagliato e servito, con una precisione che riflette l’equilibrio tra tecnica e estetica, così caro alla cucina giapponese.
Preparare il sushi a casa non significa solo riprodurre un piatto famoso, ma è anche un’opportunità per immergersi in una tradizione culinaria secolare, adattandola alla vita quotidiana. L’oshizushi, con la sua semplicità e versatilità, permette di sperimentare combinazioni di sapori senza rinunciare all’eleganza e alla raffinatezza tipiche della cucina giapponese.
Il Bentō: Simbolo di Tradizione, Praticità e Innovazione
Il concetto del pasto da asporto ha radici profondamente radicate nella cultura giapponese, dove il bisogno di portare cibo durante lunghi spostamenti è stato parte della vita quotidiana per secoli. Già nel Periodo Heian (794-1185), i giapponesi preparavano pasti portatili a base di riso cotto, noti come tonjiki, considerati gli antenati dei moderni onigiri. Per preservare il cibo durante i viaggi, si utilizzavano foglie essiccate che proteggevano le pietanze dall’umidità e dagli agenti atmosferici. Non si trattava solo di nutrirsi, ma anche di portare con sé un elemento di calore e familiarità, che rievocava il focolare domestico, creando un legame emotivo oltre che fisico con il cibo.
L’eleganza e la presentazione del bentō riflettevano anche lo status sociale di chi lo preparava o lo consumava. Nel XVI secolo, l’arte di presentare il cibo raggiunse nuove vette, con l’introduzione delle bentō box in legno laccato. Queste scatole non erano semplicemente contenitori: rappresentavano la cura e l’attenzione che i giapponesi dedicavano al rituale del pasto, anche quando consumato fuori casa, spesso durante eventi culturali o momenti di svago all’aperto.
Con il progresso tecnologico e la crescente mobilità della vita moderna, il concetto di bentō si è trasformato, adattandosi alle esigenze dei tempi. Accanto ai bentō casalinghi, si sono sviluppate versioni commerciali, rendendo questo pasto accessibile a una gamma più ampia di persone, dai lavoratori pendolari agli studenti. Durante l’era Meiji (1868-1912), con l’espansione della rete ferroviaria giapponese, nacquero i famosi ekiben, appositamente pensati per i viaggiatori. Questi bentō non solo fornivano un pasto veloce e pratico, ma celebravano anche le specialità culinarie locali, trasformando ogni stazione in un’esperienza gastronomica unica. In tempi più recenti, sono emersi i soraben, progettati per chi viaggia in aereo, sottolineando come il concetto di bentō continui a evolversi per adattarsi ai nuovi mezzi di trasporto e stili di vita.
Oltre alla praticità, il bentō incarna un’attenzione maniacale per l’equilibrio e l’estetica. Ogni scatola rappresenta una sorta di mini banchetto, curato in ogni dettaglio: una porzione di riso, una di proteine, e un assortimento di verdure, spesso preparate con diverse tecniche culinarie. L’armonia tra sapori, colori e consistenze è fondamentale, e anche la disposizione delle pietanze è pensata per offrire un’esperienza visiva oltre che gustativa. Questo pasto portatile non è solo nutrimento per il corpo, ma anche un piacere per gli occhi e per la mente.
Nel preparare un bentō, si favoriscono alimenti che possano essere cucinati in anticipo e trasportati con facilità, garantendo freschezza e integrità anche dopo diverse ore. Si evitano invece cibi troppo ricchi di salse, crudi o che rischiano di seccarsi eccessivamente. Questo equilibrio di sapori, facilità e bellezza visiva rende il bentō non solo un pasto, ma una vera e propria espressione della cultura giapponese, capace di coniugare tradizione e modernità con raffinatezza e semplicità.
Il Nihonshu: Il Riso che Diventa Vino (per noi Saké)
Spesso si pensa al sakè come una singola bevanda, ma in Giappone il termine “sakè” è un termine generico che abbraccia tutte le bevande alcoliche. Quella che all’estero viene comunemente chiamata sakè è invece il nihonshu, un’antica bevanda fermentata ottenuta dal riso.
Proprio come il vino accompagna i pasti occidentali, anche il nihonshu può essere gustato lungo tutto il pasto, e viene servito a diverse temperature, con almeno nove gradazioni ideali per il consumo. Contrariamente a quanto molti credono, sono pochi i tipi di nihonshu che si bevono caldi, poiché il riscaldamento tende a compromettere il suo profilo aromatico e gustativo.
Il riso usato per produrre il nihonshu non è quello comune da tavola, ma una varietà specifica, caratterizzata da un rivestimento esterno rigido e un cuore più morbido. Un passaggio cruciale della lavorazione consiste nel levigare i chicchi, eliminando le parti esterne per raggiungere il nucleo. Più si lucida il chicco, più fine e delicata sarà la bevanda. I nihonshu meno raffinati tendono a essere più corposi e intensi, con sapori umami pronunciati, ideali per accompagnare piatti semplici e sostanziosi. Al contrario, i nihonshu ottenuti da una lavorazione più raffinata sono eleganti e profumati, perfetti per piatti più delicati.
Per quanto riguarda gli abbinamenti con il cibo, a differenza del vino, l’obiettivo è quello di armonizzare i sapori piuttosto che creare contrasti. Inoltre, la temperatura di servizio del nihonshu dovrebbe essere in linea con quella del cibo: un sashimi freddo si abbinerà meglio a un nihonshu servito freddo, mentre piatti caldi come il ramen richiedono un nihonshu servito almeno a temperatura ambiente.
L’Okonomiyaki è un piatto tradizionale giapponese che può essere descritto come una sorta di “pancake salato”, ma è molto più complesso e saporito. Il nome stesso aiuta a capirne la natura: “Okonomi” significa “come ti piace” o “quello che vuoi”, e “yaki” significa “grigliare” o “cucinare alla piastra”. Questo piatto, infatti, si presta a molte varianti ed è personalizzabile con diversi ingredienti. In Giappone, mangiare Okonomiyaki è spesso un’esperienza interattiva. Nei ristoranti specializzati, chiamati Okonomiyaki-ya, ti siedi attorno a una grande piastra e puoi cucinarlo da solo o avere il piatto preparato direttamente davanti a te. Il tutto rende la preparazione parte del divertimento.
Okonomiyaki
Durata 45 min
Difficoltà Intermedia
Origine: Giappone
Ingredienti
Ingredienti per 4 persone:
Dosi per il condimento:
1/2 Cavolo bianco cappuccio
4 uova
8 fettine di pancetta arrotolata
gamberetti (opzionale)
katsuobushi (opzionale=
cipolle fritte secche
maionese
8 cucchiai di farina
1 bicchiere di birra
Zenzero in polvere
Salsa Worchester
Olio di semi
Sale
Procedimento
Prendete il cavolo bianco e dopo aver rimosso le foglie più esterne, e lavato per bene, dividetelo in due parti. Ne utilizzeremo per la nostra preparazione solo una metà. L’altra la potete utilizzare per altre preparazioni in frigo, il cavolo bianco si conserva ottimamente in frigo per lunghi periodi. Prendete quindi la metà di cavolo cappuccio e dopo averla lavata per bene, togliete il gambo centrale, e poi tagliatelo a listarelle molto sottili, raccogliendole in una bolla o in un contenitore.
In un’altra bolla, rompete 4 uova aggiungendo anche 8 cucchiaio di farina ed una presa di sale. Cominciate a mescolare facendo in modo di sbattere le uova incorporando la farina aggiunta.
Mentre mescolate la farina con le uova, cominciate ad aggiungere la birra, e una cucchiaiata abbondante di polvere di zenzero. Mescolate per bene ottenendo un composto cremoso e spumoso con una consistenza tra il liquido ed il pastoso. Se la consistenza fosse troppo liquida aggiungete un cucchiaio di farina per farla addensare alla giusta consistenza. Aggiungete all’impasto anche il cavolo cappuccio tagliato a listarelle e fatelo incorporare per bene nell’impasto di farina, birra e uova. Procuratevi una padella antiaderente delle dimensioni dell’okonomiyaki che dovrà soddisfare una porzione. Riscaldate e aggiungete un goccio di olio di semi facendo ungere per bene tutta la superficie della padella con un foglio di carta assorbente da cucina.
Versate un po’ di composto sufficiente per ricoprire la padella con uno spessore di 2-3 mm di impasto con un mestolo e poi aiutatevi a schiacciare l’impasto con un mestolo di legno in modo da schiacciare l’okonomiyaki in modo da renderlo di spessore uniforme. Lasciatelo cuocere su di un lato per circa 5-7 minuti, poi girate l’okonomiyaki dalla parte non cotta e lasciatelo cuocere per lo stesso tempo. Alla fine dovrete ottenere una bella “piadina” consistente su entrambe i lati, senza aree umide. Togliete l’okonomiyaki dalla padella versandolo in un piatto. Pulite la padella antiaderente con un panno da cucina e ungetela nuovamente con un panno assorbente da cucina. Potente ciascun okonomiyaki in un piatto e ancora ben caldo distribuite le fettine di pancetta arrotolata sulla sua superficie. Date qulanche minuto affinchè il calore provveda ad ammorbidire la pancetta e a sciogliere il grassetto, dando ulteriore sapore all’okonomiyaki.
A questo punto, una volta preparate tutte le porzioni, distribuite sopra la superficie la cipolla fritta secca e la maionese. Poi. prima di servite gli okonomiyaki ancora caldi, versateci sopra un po’ di salsa Worchester (la salsa più simile a quella originale giapponese disponibile in commercio, la Salsa Okonomiyaki densa e con un sapore leggermente agrodolce.). Potete sostituire la pancetta di maiale con gamberetti o aggiungerle insieme ad essa. Un altro ingrediente molto utilizzato per insaporire è il Katsuobushi: scaglie di tonnetto essiccato.
Oggi vi proponiamo le melanzane impanate farcite con formaggio e prosciutto cotto. In estate, le melanzane sono abbondanti e si prestano a moltissime preparazioni, e non solo come contorno. Infatti, possono essere utilizzate per creare un piatto ricco e sfizioso, ma anche non troppo impegnativo. Le melanzane una volta tagliate a fette, vengono poi farcite con del formaggio fondente e del prosciutto cotto. Infine vengono impanate e fritte, realizzando un secondo piatto croccante e molto saporito, che piace anche ai bambini.
Melanzane impanate farcite con formaggio e prosciutto
Prendete 2 melanzane e tagliatele a fettine più o meno sottili (dai 3-5 mm). Aggiungete del sale spargendolo per bene sulla superficie delle fette di melanzana e dopo averle riposte in un colapasta, distribuendole uniformemente, metteteci un piatto con un peso sopra e lasciatele così per 30 minuti. Questo farà perdere il sapore amaro alle melanzane, eliminando inoltre del liquido vegetale. Trascorso il tempo, togliete le fettine di melanzana e raccoglietele in un canovaccio per farle asciugare. Tagliate il formaggio a fettine sottili. Il formaggio deve essere adatto per fondere e filare, e non deve essere molto acquoso. Un’ottima scelta può essere la fontina o il fontal, ma va benissimo anche il provolone o le sottilette. Prendete due fettine di melanzana e su di una disporrete delle fettine di formaggio e su di un’altra le fettinie di prosciutto. Ritagliatele entrambe per far adattare il più possibile alla superficie delle fettine di melanzana sottostante.
Richiudete tra di loro le due fettine di melanzana a sorta di sandwich, con la farcitura all’interno. In un piatto o contenitore, sbattete un uovo e aggiungendo un goccio d’acqua e un po’ di sale. Immergetevi dentro il sandwich di melanzane in modo da bagnarlo su entrambe i lati. Poi impanatelo in abbondante pangrattato versato in un altro piatto o contenitore. Fate ben pressione con le mani sopra il pangrattato in modo da farlo ben comprimere intorno al sandwich di melanzane. Alla fine la panatura dovrà ricoprire interamente tutta la superficie.
In una padella aggiungete abbondate olio per frittura. Portatelo a temperatura e poi versateci dentro le melanzane farcite con formaggio e prosciutto cotto. Lasciatele dorare per circa 5 minuti su ogni lato, prima di girarle, dando così anche il tempo alle melanzane all’interno di cuocersi. Una volta ben dorate le melanzane toglietele dall’olio di frittura con un mestolo forato e versatele su di un panno di carta assorbente ad asciugare. Spolverate con un po’ di sale.
Togliete le melanzane dal panno assorbente e disponetele ben asciutte su di un piatto. Servite le melanzane impanate e farcite con formaggio e prosciutto cotto ben calde, in modo che il formaggio all’interno sia ancora ben filante.
Le ricette con il pesce spada sono tra le più rappresentative della cucina mediterranea, in particolare nelle regioni costiere dell’Italia meridionale come Sicilia e Calabria. La sua carne compatta, magra e saporita lo rende estremamente versatile in cucina, e la tradizione legata alla sua pesca risale a tempi antichissimi.
Il pesce spada nella storia della cucina italiana
Le prime testimonianze dell’uso del pesce spada risalgono all’epoca dell’Antica Grecia e dei Romani, che ne apprezzavano sia la carne che il valore simbolico. Le tecniche di pesca, in particolare la pesca al pesce spada nello Stretto di Messina, erano già praticate in epoca classica e si sono tramandate fino ai giorni nostri. Questa zona è rimasta celebre per la sua “caccia al pesce spada”, una pratica che coinvolgeva barche speciali e un lavoro di squadra ben coordinato, ed è diventata parte integrante della cultura locale.
Nel corso dei secoli, il pesce spada è diventato un alimento di primaria importanza per le comunità costiere italiane. In particolare, la Sicilia e la Calabria hanno sviluppato un forte legame con questo pesce, e ancora oggi le loro ricette tradizionali ne fanno largo uso. Nella tradizione contadina, il pesce spada rappresentava un bene prezioso, anche grazie alla sua lunga durata se conservato con metodi tradizionali come l’affumicatura e la salatura.
Il pesce spada nella cucina italiana contemporanea
Oggi, il pesce spada è considerato una prelibatezza della cucina italiana, sia nei piatti della tradizione che nelle interpretazioni più moderne e creative. La sua carne compatta e il sapore delicato lo rendono adatto a diversi metodi di cottura, come la griglia, il forno e la padella. Di seguito alcune delle ricette tradizionali e moderne più apprezzate.
Ricette tradizionali
Pesce spada alla griglia: Una delle preparazioni più semplici e diffuse. Le fette di pesce spada vengono marinate con olio d’oliva, limone, aglio e prezzemolo, poi cotte sulla griglia. Il risultato è una carne morbida e succosa, arricchita dai sapori freschi e aromatici della marinatura.
Pesce spada alla messinese: Originario della Sicilia, questo piatto prevede la cottura del pesce spada con una salsa a base di pomodori, capperi, olive nere, aglio e origano. La combinazione di questi ingredienti mediterranei esalta il sapore del pesce e crea un piatto saporito e ricco di sfumature.
Involtini di pesce spada: Altra ricetta siciliana, in cui il pesce spada viene tagliato a fettine sottili e farcito con un ripieno a base di pangrattato, pinoli, uvetta, formaggio e prezzemolo. Gli involtini vengono poi cotti al forno o sulla griglia. Questa ricetta combina dolcezza e sapidità, tipica della cucina siciliana.
Pesce spada alla ghiotta: Un classico della cucina calabrese, in cui il pesce spada viene cotto in umido con cipolle, pomodori, capperi e olive. Il nome “alla ghiotta” richiama la ricchezza di sapori del piatto, che abbina i profumi della terra con quelli del mare.
Ricette moderne e gourmet
La cucina contemporanea italiana ha saputo innovare anche le preparazioni con il pesce spada, adattando le ricette alle tecniche moderne e ai gusti odierni. Alcune varianti includono:
Tartare di pesce spada: Nella cucina moderna, la carne del pesce spada viene utilizzata anche cruda. La tartare di pesce spada, marinata con agrumi, olio extravergine di oliva, erbe aromatiche e pepe rosa, è diventata un antipasto raffinato e fresco, apprezzato nei ristoranti di alto livello.
Pesce spada in crosta: Una variante gourmet che prevede la cottura del pesce spada avvolto in una crosta di mandorle o pistacchi, ingredienti che ricordano le tradizioni siciliane. La croccantezza della crosta contrasta piacevolmente con la morbidezza della carne del pesce, offrendo un piatto ricco di consistenze e sapori.
Pesce spada al cartoccio: Una preparazione che consiste nel cuocere il pesce spada chiuso in un foglio di carta forno o alluminio, insieme a verdure fresche, erbe aromatiche e vino bianco. Questo metodo di cottura conserva la morbidezza della carne e ne esalta il sapore naturale, riducendo al minimo l’aggiunta di grassi.
Carpaccio di pesce spada: Un’altra ricetta che prevede l’uso del pesce crudo, affettato sottilmente e condito con olio, limone e finocchietto selvatico. Questa preparazione esalta la freschezza del pesce, risultando leggera e perfetta come antipasto.
Il pesce spada nelle tradizioni locali
In alcune zone, il pesce spada non è solo un alimento, ma un vero e proprio simbolo culturale. In Sicilia, per esempio, la pesca del pesce spada nello Stretto di Messina ha radici antichissime, e ogni anno viene celebrata con feste e sagre. Il pesce spada è protagonista di molte tradizioni culinarie locali, dove viene preparato in modo semplice ma sempre rispettoso dei suoi sapori naturali.
In Calabria, il pesce spada è parte integrante della “Cucina povera”, una cucina nata dalle necessità del popolo di sfruttare al meglio i pochi ingredienti disponibili. Anche qui, i piatti a base di pesce spada sono stati influenzati dalle tradizioni contadine, con l’utilizzo di ingredienti locali come olive, peperoncino, pomodori secchi e capperi.
Il pesce spada nella cucina italiana contemporanea
Attualmente, il pesce spada ha mantenuto la sua centralità nella cucina italiana, sia nelle preparazioni casalinghe che nei menù dei ristoranti di alto livello. Il suo sapore delicato ma deciso, la consistenza della sua carne e la versatilità nelle preparazioni lo rendono un ingrediente amato da chef e appassionati di cucina.
La crescente attenzione alla sostenibilità della pesca ha portato a una maggiore consapevolezza sull’importanza di pratiche di pesca responsabili per la tutela delle popolazioni di pesce spada. Tuttavia, questo pesce rimane una parte essenziale della tradizione culinaria italiana, rappresentando un legame forte con il mare e le sue ricchezze.
In conclusione, il pesce spada è uno degli emblemi della cucina mediterranea italiana, presente da secoli nelle tavole e nelle tradizioni locali, ma che sa adattarsi anche alle esigenze della cucina moderna.
Bieta e fagioli sono un bel contorno della tradizione popolare e contadina dove questi prodotti dell’orto erano di facile reperibilità e di basso costo. Un piatto gustoso e nutriente che mentre nei tempi passati poteva essere l’unico piatto di un pasto, magari accompagnato da fette di pane o fette di polenta, oggi si identifica con un bel contorno da abbinare ad un piatto di carne, del pollo o anche come condimento leggero per una polenta.
Lasciate i fagioli in ammollo in acqua per una nottata e poi lessateli in abbondante acqua salata, magari insaporendoli con una cipolla, una costa di sedano ed una cipolla. Lasciateli cuocere per circa 2 ore. Se desiderate accelerare i tempi di cottura potete usare la pentola a pressione, sempre che ne abbiate una.
Procuratevi un tegame di coccio, o di una casseruola e aggiungete un fondo di olio extravergine di oliva. Aggiungete uno spicchio d’aglio scamiciato ed un po’ di peperoncino se volete aggiungere un po’ di piccante al piatto. Lasciate rosolare lo spicchio d’aglio per un minuto o due, poi versateci dentro le foglie di bieta ben lavate e nettate, tagliate a pezzi per farle adattare bene alle dimensioni del tegame. Aggiungete un po’ di sale ed un paio di mestolate di brodo di fagioli.
Coprite con un coperchio, abbassate la fiamma e continuate la cottura fino a quando la bieta non si sarà completamente ammorbidita. A questo punto togliete il coperchio ed aggiungete i fagioli lessati. Lasciate asciugare tutto il liquido di cottura, e regolate di sale se necessario.
Dopo circa 10 minuti spegnete e servite la bieta con i fagioli. Potete accompagnarla con un po’ di fette di pane abbrustolito con un po’ di olio.
Bieta e fagioli sono un bel contorno della tradizione popolare e contadina dove questi prodotti dell'orto erano di facile reperibilità e di basso costo.
Il petto d’anatra con salsa di mirtilli è un piatto raffinato e prelibato per veri intenditori. Il petto d’anatra è una carne rossa molto saporita e nutriente con un sapore di selvaggina e succulenta come una bistecca di manzo. Si può servire come una classica tagliata, tagliata a fette più o meno sottili, con una cottura di diversi livelli che va dal sangue alla ben cotta, e spesso viene servita come un roastbeef, con l’esterno ben cotto e al centro un cuore rosa e succulento. Il petto è quindi un pezzo prelibato e viene spesso servito con altri condimenti importanti, tra cui una salsa di mirtilli che ne bilancia il sapore selvatico. Per completare si possono aggiungere patate arrosto o fritte.
1 cestino di mirtilli o un barattolo di confettura
1 bicchiere di vino rosso
1 cucchiaio di miele
2-3 chiodi di garofano
Bacche di ginepro
Semi di finocchio
pepe a grani
2 spicchi d’aglio
Olio extravergine di oliva
Sale
Procedimento
Procuratevi una casseruola delle dimensioni adatte per contenere il petto d’anatra nella sua interezza. Versateci un fondo di olio extravergine di oliva, due spicchi d’aglio, il pepe a grani, i chiodi di garofano, le bacche di ginepro ed un po’ di semi di finocchio. Riscaldate e appena l’aglio comincerà a soffriggere disponete all’interno della casseruola il petto d’anatra nella parte interna (quella senza pelle). Fate rosolare per bene il lato interno finchè non avrà raggiunto una bella rosolatura dorata. A questo punto girate il petto d’anatra sull’altro lato e continuate la rosolatura. Continuate così fin quando tutto il petto d’anatra non sarà ben rosolato.
A questo punto aggiungete un cucchiaio di miele, e poi sfumate con un po’ di vino bianco ( o se preferite della birra). Lasciate asciugare e poi spegnete. Togliete il petto d’anatra dal fondo di cottura e disponetelo in una teglia antiaderente o con un foglio di carta da forno sul fondo. Disponete il petto al centro della teglia ed infornatelo in un forno a 160°C e continuate la cottura per altri 10-20 minuti (dipende dal grado di cottura che volete raggiungere. Una volta sfornato, lasciate raffreddare e riposare il petto d’anatra senza affettarlo, in modo da assestare i liquidi all’interno senza farli fuoriuscire. A questo punto, rimuovete la pelle dal petto e tagliatelo a fette sottili. Insaporite le fette di petto d’anatra con il fondo di cottura e disponetele poi sul piatto. Nel frattempo preparerete la salsa di mirtilli.
Prendete un pentolino, aggiungete i mirtilli freschi o surgelati, ed aggiungete un po’ di vino rosso ed un cucchiaio di zucchero, e potete aggiungere anche un po’ di cannella. Continuate la cottura fino a quando non si formerà una salsa dalla consistenza sciropposa. Togliete la cannella dalla salsa e fatela raffreddare. Servite dei le fette di petto d’oca con la salsa di mirtilli, magari accompagnandole con delle patate fritte a fette o delle patate arrostite.